Fabio Carmelo D’Antoni è ciò che crea e la sua scintilla creatrice nasconde nelle sue opere. È questo quel che ho percepito quando l’ho conosciuto. È come se la bellezza antica, quella che pervadeva ogni essere vivente avesse lasciato la sua eco in questo ragazzo con lo sguardo da uomo.
La pittura, o più generalmente il fare arte, per Fabio Carmelo D’Antoni è vera ricerca, percorso. Il dipingere per lui non è solo tecnica è vero rito, celebrazione in cui il talento qualifica e autorizza l’uomo a connettere, tramite la creatività, il trascendente all’immanente, lo Spirito creatore alle creature. Ogni opera che lui realizza è testimonianza dell’esistenza di un universo numinoso dove gli dei, gli eroi e i miti vivono e sopravvivono. Hanno resistito alle congetture terrene, ai parametri umani, ad un progresso di plastica che ha già regalato solo vacuità ed effimero.
Nelle opere di quest’artista si manifestano figure reali di un mondo irreale che si rivelano all’artista, essere privilegiato, l’unico che all’infinito può dare definizione.
D’Antoni è una sorta di asceta, un bardo che, invece dell’arpa, usa tavolozza, pennelli e colori. La sua vocazione è quella di dar carne allo spirito in quanto dà forma e immagine all’immaginario, a tutto ciò che è emozione, sensazione e sentimento e che, pertanto, immagine non può averne.
È così che credo sia giusto spiegare in sintesi il fare arte di Fabio Carmelo D’Antoni, è così che si può leggere il suo talento, la sua filosofia estetica. Mirabile è il suo inventare lo spazio luminoso e la rivelazione del soggetto.
La sua pittura è fatta per velature, la sfumatura è elegante e ricercata; impeccabili sono i panneggi ed incantevoli sono i toni che danno rilievo alle curve delle vesti, delle tuniche, dei paramenti. Lui dipinge dei e semidei, mediatori e messaggeri e dona loro volti e fisionomie umane – quasi che l’età ellenistica e quella vichinga possano replicarsi perché l’uomo capisca, perché le creature tornino a narrare ed ad ascoltare le favole; non per rievocare ataviche e fanciullesche memorie, quanto per riattivare la mente col cuore l’Eros con Psiche. Ciò che emerge dalla ricerca pittorica di D’Antoni è la necessità di ritornare al suono e ai colori dati per ricercare la Bellezza di uno spirituale che sa di fantastico e di teologico. Ecco perché nei suoi personaggi gli sguardi sono seri, si volgono verso l’osservatore con aria malinconica, a tratti severa. Sembra che stiano lì ad aspettare che chi passa si fermi ad ascoltare il suono dei pensieri. Sembrano attori che stanno per entrare in scena o per uscirne perché la tragedia come la commedia hanno svolto la loro catarsi attraverso la pittura.
In alcuni quadri le presenze sono inquietanti, il dialogo è tra le figure che scandiscono lo spazio e la luce. Gli sguardi diventano misteriosi e interrogativi.
Nel suo percorso sconfigge la paura che talvolta la figura da lui stesso creata può emanare. Ecco la sua vera intuizione, non teme il confronto con il regno dell’onbra lo affronta come il viandante con la lanterna, il pittore ha la luce che indica la via per lui e per chi le sue opere guarda.
Le labbra sono serrate o socchiuse, ma gli occhi emanano messaggi ineffabili eppure percepibili. Il talento di D’Antoni è di rivelare la forma attraverso la luce che pervade la figura facendola talvolta emergere dall’oscurità che lui sa dosare con maestria, dimostrando di conoscere il fare dei caravaggeschi. In altre opere la luce si propaga dal fondo sulla figura e da questa a chi guarda. Come pure è chiara la lezione dei ritrattisti del Romanticismo francese, di Gericault in primis.
I suoi maestri sono stati le botteghe di artisti che gli hanno trasmesso il sapere antico della figurazione. Nella sua pittura rappresentazione e raffigurazione si fondono ed ogni suo quadro diviene spazio dinamico, vivido.
E poi sguardi, ancora, sguardi, occhi bellissimi che entrano dentro. Ogni sua opera è da contemplare nel vero senso etimologico del termine, cum – Con Templum – Spazio del cielo, con lo spazio del cielo; ma c’è di più: le figure che questo meraviglioso artista dipinge rivelano un’altra caratteristica del “contemplare”, cioè il farsi guardare dall’oggetto contemplato. Ci si lascia guardare come quando si è innamorati e ci si perde negli occhi dell’altro. Il tempo sospende il suo andare, non conta nulla, solo quello spazio tra le due entità, tra le due persone, tra il cielo e l’uomo. Ogni sua opera è un ponte verso quell’infinito di cui non si narrano più le storie. L’infinito, ah sì, quell’infinito che attraverso il talento di Fabio Carmelo D’Antoni trova, per chi sa guardare, la giusta definizione.
Fabio Carmelo D’Antoni è ciò che crea e la sua scintilla creatrice si nasconde nelle sue opere. È questo quel che ho percepito quando l’ho conosciuto. È come se la bellezza antica, quella che pervadeva ogni essere vivente avesse lasciato la sua eco perché tramite questo ragazzo con lo sguardo da uomo, possa contemplare chi quest’opere contempla.
Prof. Alberto D’Atanasio
Docente M.I.U.R. di Storia dell’Arte,
Estetica dei Linguaggi Visivi e Teoria della percezione e Psicologia della Forma.